Contro la gioventù – Pablo d’Ors : recensione

Tra le cose di cui pecco c’è sicuramente la spiritualità, come già accennato in Bacà, o forse è la filosofia?

Contro la gioventù di Pablo d’Ors è probabilmente entrambe le cose, e per questo, per me, è stato difficile da leggere, ma allo stesso tempo stimolante per le riflessioni che sollevava.

Il romanzo è ambientato a Praga, città in cui sono stata e che ho amato, proprio per alcuni dei motivi per i quali la odia il protagonista. La sua tristezza intrinseca, io l’ho trovata bellissima, una capitale bohémien romantica e un po’ triste, misteriosa, che conserva nel suo cuore storico la bellezza di un tempo passato.

Eugen Salmann, il protagonista, berlinese espatriato in Boemia nel ’91, tutto questo lo odia, non subito, non apertamente; all’inizio con la malinconia che si riserva all’essere straniero in una città straniera, e poi via via si preclude ogni possibilità chiudendo se stesso in un libro di Kafka, come se fosse possibile rivivere lo stesso stato d’animo dell’autore.

È proprio vero, a volte uno si crede incompleto ed è soltanto giovane, come diceva Calvino. Contro la gioventù è un romanzo che parla di crescita, professionale da un certo punto di vista ma soprattutto emotiva. La vera seccatura è il suo protagonista. Eugen ha ventisei anni, non proprio pochi da potersi definire un bambino e non proprio tanti da definirsi un adulto; a Praga si ritrova spaesato, solo, e forse l’accoglienza ceca se l’era immaginata diversa, ma ciò non toglie che è un grandissimo stronzo.

Sono convinta che la crescita avvenga soprattutto con l’esperienza e l’esperienza emotiva relazionale si va formando tramite le relazioni sessoaffettive, siamo d’accordo, ma Eugen avrebbe bisogno di leggere Tamara Tenenbaum per fare un mea culpa di come si è rapportato con gli altri in favore o in visione di una ricerca di sé, di una crescita. Si può crescere con gli altri, attraverso gli altri e per gli altri, ma se cresci a discapito dell’infelicità altrui allora sei stronzo. E ventisei anni sono abbastanza per rendersene conto.

Invece Eugen riesce nell’incredibile missione di risultare antipatico man mano che si procede nella lettura. Abbarbicato nel nome di una tristezza che non trova riscontro nei fatti concreti, sembra la personificazione del ragazzo fintamente sensibile.

Il rapporto del ragazzo con le donne, soprattutto, ma con chiunque venga catturato dalla sua orbita, è di grande chiusura ed egoismo. Nella vita di Eugen si affacciano tre donne, Klára, Karla e Hanna.

Vero che l’avventura con Klára non era nulla di più che sessuale per lei, e che lo relegava nel ruolo di semplice amante passivo, ma l’atteggiamento di sottomissione che assumeva con una lo sfogava sessualmente sull’altra, su Karla, per poi cadere sempre di più in una spirale di decadimento e menzogne nel quale lui stesso si chiude, pur di arrivare ad Hanna, e dopo averla ottenuta urlarle dietro le peggiori cose, tutta la sua rabbia.

Soprattutto con le donne Eugen si mostra sempre superiore, specialmente se in compagnia maschile, le guarda le giudica, se le scopa tutte e poi si sente libero di definirle, brutte, grasse, anziane, che poi lo vorrei proprio vedere io questo grande bronzo di Riace tedesco che sembra che le donne ceche non aspettassero altro.

Se l’avessi scritto io, probabilmente Contro la gioventù si chiamerebbe Contro Eugen Salmann, perché non mi basta sapere che era giovane per giustificare tutto (mi è più insopportabile di Bill Denbrough adulto). Conosco tanti ventiseienni e non sono tutti stronzi. Nessuno lo ha mai obbligato, auto imbrigliatosi nella figura di scrittore triste scopre l’uso delle maschere, forse nessuno gli ha mai detto che le bugie hanno le gambe corte. In nome della sua crescita fa soffrire un sacco di persone, cerca l’amore, l’amore, l’amore facendo perdere il senso a questa parola, svilendola, lo mistifica, lo calpesta, insomma non crederei mai al signor Salmann se mi dicesse che mi ama.

Il nostro protagonista è uno, nessuno, e centomila, è un imitatore, imita Kafka, imita gli agenti segreti visti al cinema, imita i samaritani, i teologi, i detective, tutto per ottenere sempre ciò che vuole, e soprattutto per nascondere molto bene a se stesso, che senza tutte quelle maschere, e nonostante tutte le adulazioni, lui è un po’ poco. Ancora né carne né pesce, direbbe una mia insegnante.

Nonostante il mio odio verso di lui, il volume è pieno di bellissime osservazioi, speculazioni, ti porta verso la riflessione. Sono molte, moltissime le frasi che ho sottolineato e molte le idee che dal libro sono partite per svilupparsi in altrettante conversazioni.

Ci sono personaggi avvincenti, come Kašpar Koval pittore e teologo, umile ma estremamente in gamba, che il gioco di Eugen lo aveva smascherato da subito, Pol Bo con la sua timidezza ed intelligenza, le donne di Eugen, tutte diverse, da ognuno di loro qualcosa da imparare, sui più disparati argomenti, sugli altri e soprattutto su se stesso e fin dove riuscisse a spingersi.

Nel finale è un più maturo Eugen che tira le somme della sua gioventù praghese e riscatta anche un po’ se stesso, perché in fondo senza questa storia, che è la storia del suo fallimento personale, non ci sarebbe l’uomo di adesso, lo scrittore, non ci sarebbe la consapevolezza.

In Contro la gioventù quindi non tutte le perdite sono negative, persino quella di se stessi e della propria identità. Eugen si è perso a Praga, poi ha perso Praga, tutto per costruire un nuovo io, un nuovo inizio.

Questa è la prova. È evidente,

l’arte di perdere non è difficile da

imparare,

benché possa sembrare un vero

(scrivilo!) disastro.

Elizabeth Bishop, L’arte di perdere.

Oriana D'Apote

Oriana D'Apote classe ’93 un pendolo che oscilla tra la Puglia e l’Abruzzo. La mia prima natura è quella di ascoltatrice di storie, con l'animo inquieto sempre alla ricerca di qualcosa, il dettaglio, la poesia. Sogno di acquistare centinaia di fiabe illustrate, leggo storie crude. Vivo come il protagonista di un noir a colori dove alla fine prenderò il cattivo, risolverò il caso.

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