Con passi giapponesi – Patrizia Cavalli : recensione

Patrizia Cavalli è considerata tra le poetesse italiane contemporanee più importanti; nata nel 1947 a Todi, le sue ultime raccolte di poesie presso Einaudi sono: Poesie 1974-1992 (1992), Sempre aperto teatro (1999); Pigre divinità e pigra sorte (2006); Datura (2013).

Tra l’altro è musicista, con un libro e un CD di canzoni insieme a Diana Tejera intitolato Al cuore fa bene far le scale (Voland 2012); inoltre è anche traduttrice, e tra molte ricordiamo Sogno di una notte d’estate di Shakespeare.

Oggi l’autrice vive a Roma, negli ultimi anni ha avuto il cancro da cui è riuscita a guarire; in un intervista al Robinson racconta: “Non so cosa sia peggio, se il male o le cure. Io sono depressa perché le medicine mi hanno tolto le forze e le cure mi hanno tolto la memoria. Questa è la verità: non si possono scrivere poesie se non si ha memoria”.

Il libro Con passi giapponesi (Einaudi) è la prima opera di Patrizia Cavalli scritta in prosa ed è tra i cinque finalisti del Premio Campiello 2020.

È un’opera che fondamentalmente sfugge alle classificazioni, prosa poetica, poesie in prosa, narrativa, saggistica, raccolta di racconti brevi; è un’opera straniante e pure familiare poiché per chi ama e conosce la Patrizia Cavalli poetessa non sarà difficile ritrovarla in questi testi. Non solo per i temi, alcuni dei quali già apparsi in libri precedenti come il rapporto con il corpo e la malattia.

Ma piuttosto per la mano avvezza alla poesia che si percepisce attraverso le pagine, nel ritmo della prosa e nella cura delle scelte lessicali.

Pagine in cui si susseguono di pensieri, riflessioni, speculazioni e ricordi. Il ritratto della madre, l’amore per delle scarpe  da ballo – “color lavanda, limone d’Amalfi e ruggine fresca; a strisce larghe e disuguali”.

O ancora il ritratto di donna sarda che apre la raccolta, ed è li che troviamo il titolo, nel modo di camminare della donna, defilata, nascosta eppure invidiosa attenta, soprattutto alle donne, ai cedimenti del corpo.

Sul finire della raccolta entriamo completamente in quella che è la mente poetica della Cavalli, dove pensieri, e riflessioni sembrano preludi alla composizione poetica.

In Immobilità e disordine ci viene spiegato addirittura il perché delle scelta di scrivere poesie, il motivo della brevità e della mancanza di titolo – “scrivo poesie perché nella poesia ce più ambiguità che nella prosa […] Per questo non metto titoli alle mie poesie, per sottrarmi ad una definizione. Questa è anche la ragione della loro brevità, sono come piccole uscite, piccoli sassi lanciati fuori”. – E ancora, in Varietà  riusciamo a vedere il mondo alla maniera del poeta, tutto è collegato i pensieri si tirano uno dietro l’altro eppure tutto sembra scollegato, a sé stante.

Una fusione di sentimenti che muovono l’essere umano, passioni desideri, tormenti, e negatività. Persino l’orgoglio di sentirci chiedere “Il solito?” dal barista (perché è al bar che di misura la gloria).

Pezzi di scrittura che come i marmi della sua cucina sono incastrati dall’opus incertum dove agiscono insieme intenzione e caso e per seguirne l’andamento bisogna avere l’animo predisposto. Predisposto ad una chiacchierata solitaria.

Con passi giapponesi di Patrizia Cavalli è un flusso di pensieri di chi parla a se stesso e a tutti con l’allegria che deriva dal non essere contraddetti  senza il bisogno di risposte o commenti, inutili interruzioni.

Oriana D'Apote

Oriana D'Apote classe ’93 un pendolo che oscilla tra la Puglia e l’Abruzzo. La mia prima natura è quella di ascoltatrice di storie, con l'animo inquieto sempre alla ricerca di qualcosa, il dettaglio, la poesia. Sogno di acquistare centinaia di fiabe illustrate, leggo storie crude. Vivo come il protagonista di un noir a colori dove alla fine prenderò il cattivo, risolverò il caso.

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