Come un respiro – Ferzan Ozpetek : recensione

Le vite di due sorelle divise da ben cinquant’anni vengono “proiettate” davanti ai lettori di Come un respiro di Ferzan Ozpetek.

Il regista italo-turco ha uno stile cinematografico e narrativo ben definito. Fin dal suo esordio il regista ha scelto di parlare al suo pubblico di una serie di temi, molto spesso autobiografici. Li ritroviamo in tutta la sua filmografia: l’amore in tutte le sue forme e in particolare le tematiche LGBT, la memoria, la contrapposizione tra Roma e Istanbul come luoghi del presente e del passato, il tutto sovrastato da una certa aura di mistero. I suoi romanzi non fanno eccezione.

Come un respiro è il terzo romanzo scritto dal Ozpetek e, così come nel suo libro d’esordio Rosso Istanbul, ci sono due storie che si alternano capitolo per capitolo e che sono solo apparentemente estranee tra loro.

In questo romanzo due monologhi si intrecciano capitolo dopo capitolo.

Elsa e Adele si sono separate cinquant’anni fa quando Elsa è improvvisamente partita per Istanbul; dopo tutto questo tempo la donna ha deciso di tornare a Roma per rivedere Adele, ma arriverà nell’appartamento di una giovane coppia, Sergio e Giovanna.

Inutile dire che, come da tradizione, l’autore ci farà scoprire il motivo della fuga solo alla fine del romanzo; nel frattempo ci porta nella Istanbul degli anni Settanta e nella sala da pranzo di Sergio e Giovanna.

Ozpetek usa il pranzo a casa della coppia come espediente narrativo; l’appartamento diventa il luogo della memoria delle due sorelle e il gruppo di amici il pubblico del racconto di Adele.

La storia di Elsa è invece narrata dalle lettere che ha scritto alla sorella nel corso degli anni e che le sono sempre tornate indietro.

Due facce della stessa medaglia che sono vicine ma non si possono mai guardare tra loro sono gli ideali narratori di questa storia che ci porta avanti e indietro nel tempo.

Come in molti dei film di Ferzan Ozpetek anche in questo romanzo ci troviamo a dipanare la matassa della storia narrata per poter arrivare all’evento scatenante della vicenda, e alla fine non sapremo neppure con certezza se il racconto delle due sorelle è vero o falso.

Se la trama del libro segue un intreccio congegnato per risultare intricato, lo stile di scrittura è molto scorrevole ed essenziale, come un soggetto cinematografico. La narrazione si ferma solo per enfatizzare gli stati emotivi dei vari personaggi. Non è difficile immaginarsi le varie scene che si susseguono, i dialoghi e i monologhi. Spero che l’autore ne tragga un film più fortunato di Rosso Istanbul.

Nel corso del libro incontriamo tanti rimandi alla filmografia del regista e non solo alla sua tipica tavolata di amici: in particolare c’è un fortissimo ricordo dei suoi primissimi film, quelli ambientati per lo più in Turchia, Il Bagno turco e Harem Suare. Ozpetek vi guarderebbe sorpreso e direbbe che è puro caso, proprio come ha fatto con me quando ho avuto l’occasione di intervistarlo qualche estate fa.

Laura Perrotti

Nata quasi trent’anni fa, non ricordo un momento della mia vita in cui non ho avuto un libro sul comodino. Amo tutti quei romanzi che riescono a farmi andare lontano (ma non troppo) con la fantasia… sarà per questo che sono finita a voler occuparmi di cinema? Ho uno strano debole per i classici dell’Ottocento francese e del Novecento italiano ma non sono la tipica snob che tira dritto davanti alle nuove uscite.

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