Cartoline da Radiosale di Ilaria Paluzzi è una lunga favola che porta con dolcezza il lettore a riflettere sul bisogno di sognare e cercare la realizzazione dei propri sogni.
I protagonisti sono Lilì e Crunch, amici che però nascondono l’amore tra i due sotto il tappeto. Il loro rapporto è tenero e le dinamiche sono rese semplici per evidenziare la stranezza di tutti i sottintesi nei dialoghi. È proprio in questi botta e risposta che viviamo lo sviluppo del rapporto, di cartolina in cartolina.
I racconti sono brevi, appunto, sia per mantenere l’approccio favolistico, sia per lo spirito con cui l’autrice ha scritto l’opera – come dice nell’introduzione –, ovvero l’idea delle cartoline presente nel titolo. Tutte queste cartoline vengono da Radiosale, luogo immaginario dove i due personaggi muovono i propri sentimenti. In verità Crunch è introverso, sono rari gli slanci affettuosi, eppure nasconde un grande cuore.
LiLì invece è di tutt’altra pasta, e forse per questo soffre spesso. La sua lotta ideologica, assolutamente non armata, è contro gli Aridi.
“A guardarli da lontano, gli Aridi di cuore appaiono tutti uguali: una processione di monaci penitenti. Di solito vanno in giro con lunghi abiti scuri, nascosti da cappucci pesanti, dentro i quali sembrano maturare approcci alla vita basati su idee a dir poco discutibili. Gli Aridi pensano di sapere già tutto, benché le loro verità siano filtrate da una visuale parziale, se non altro per via di quei cappucci che portano notte e giorno.”
LiLì è una scrittrice, mal sopporta una tale indole che porta al minimo del pensiero. Per Crunch si può vivere nascondendo, sopendo il grande carico dei pensieri e dei sentimenti. LiLì è di idee formalmente opposte, ma in ogni caso continua a pensarci e si arrovella nel trovare la quadratura del cerchio.
Di Aridi ne incontriamo parecchi nella vita di tutti i giorni, sono ovunque, la maggior parte, talvolta siamo noi, e in noi albergano una LiLì e un Crunch che battibeccano sul da farsi: intervenire? Provare ad aiutare chi sta perdendo l’immaginazione o addirittura la voglia di immaginare? O mostrarsi uniformati per continuare a vivere pienamente nel segreto dei propri pensieri?
Ilaria Paluzzi scrive dialoghi bellissimi, dove tutte queste domande diventano profondamente feconde e permettono di riflettere ben oltre la semplice lettura del testo.
Il libro fa parte della collana Germogli di Radici edizioni, iniziata con Come i balconi di città di Roberto Cipollone. Letti a distanza ravvicinata, presentano diverse comunanze nei discorsi di fondo. Un esempio è nella visione nei confronti della vita frenetica delle città:
“LiLì non ama le grandi città, in fondo le sembrano tutte uguali: spazi tenuti in piedi dagli eccessi del mercato. Non le piacciono le luci che di notte occultano le stelle né le ragazze che di giorno passeggiano per strada come se macinassero passerelle, non le piacciono gli uffici dove i suoi coetanei si recano a rivestire posizioni importanti per il mondo e devastanti per il karma né l’aria che finiscono per assumere, non le piace che la gente che va a vivere in città, alla lunga, dimentichi l’importanza imprescindibile della lentezza per l’avvento di ogni rivoluzione e non le piace soprattutto che molti si sentano dei ribelli solo perché sono fuggiti.”
Nel corso della lettura LiLì vincerà la sua personale battaglia autoriale, addolcendo noi lettori e spogliandoci della nostra aridità.