“Questa intensa e coinvolgente raccolta di Warsan Shire, dovrebbe recare un avvertimento: Queste poesie ti spezzeranno il cuore.”
Julia Alvarez ci aveva avvertito, ne Le voci della critica, che precede il corpus della raccolta, sull’efficacia e sulla pericolosità della poesia di Benedici la figlia cresciuta da una voce nella testa di Warsan Shire.
Warsan Shire, la poetessa dei migranti, dopo la strage avvenuta il 26 febbraio 2023 a Steccato di Cutro a poche miglia dalla costa Calabrese. I versi della sua Home sono rimbalzati ovunque attraverso i giornali e i social network a risvegliare le coscienze, a risvegliare l’empatia, che in questo nostro tempo sembra perduta.
Casa
I
Nessuno lascia la casa a meno che la casa non sia la bocca
di uno squalo. Fuggi verso il confine solo quando vedi
che tutta la città è in fuga. Il ragazzo con cui andavi a
scuola, che ti stordiva di baci dietro la vecchia fabbrica di
lattine, ora impugna una pistola più grande di lui. Lasci
casa solo quando è la casa a scacciarti.
Nessuno lascerebbe casa a meno che non sia la casa a
buttarlo fuori. Non avevi mai pensato di farlo, e quando
l’hai fatto, hai mormorato l’inno nazionale a mezza
bocca, hai aspettato fino al bagno dell’aeroporto per
strappare il passaporto e ingoiarlo, a ogni triste boccone
ti era chiaro che non saresti più tornata.
Nessuno mette i figli su una barca, a meno che l’acqua
non sia più sicura della terra. Nessuno sceglie giorni e
notti nel ventre un camion a meno che le miglia percorse
non valgano un po’più del viaggio.
Nessuno sceglierebbe di strisciare sotto i reticolati,
farsi pestare finché l’ombra non ti abbandona, stuprata,
buttata fuori dalla barca perché sei più scura, annegata,
venduta, affamata, sparata alla frontiera
come una bestia malata, compatta, nessuno sceglierebbe
un campo profughi per passarci un anno o due o dieci,
spogliata e perquisita, trovando dappertutto una prigione.
E se mai sopravvivi, salutata dall’altra parte – Andatevene
a casa Negri, sporchi rifugiati, succhiare il latte
del nostro paese, neri con le mano tese, e odori sconosciuti,
selvaggi, guardate come hanno ridotto il loro
paese, cosa faranno al nostro?
Gli insulti sono più facili da ingoiare che trovare il corpo
di tuo figlio tra le macerie.
Voglio tornare a casa, ma la mia casa è la bocca di uno
Squalo. Casa è la canna di un fucile. Nessuno lascerebbe
Casa se non fosse la casa a spingerti verso il mare.
Nessuno lascerebbe casa se non quando la casa è una voce
All’orecchio che dice – vattene, corri, subito. Non so più
cosa sono.
Ma la poesia di Warsan Shire non racconta solo i migranti, ci parla dell’umano, di quello che, anche se non è nascosto, ci rifiutiamo di vedere.
È un’espressione potente e sensibile verso crudeltà ignorate. Warsan è la voce del disagio, qualsiasi esso sia, che si esprime con franchezza attraverso le sue parole.
Benedici la figlia cresciuta da una voce nella testa parla di donne, di donne nere, di donne bianche, di donne che cercano il loro posto nel mondo, di cosa vuol dire per una donna abitare il proprio corpo.
“Se l’abitante di un altro pianeta volesse sapere cosa significa per una donna sopravvivere sulla terra, dovrebbe leggere questo libro.”
Sopravvivere, ecco, questa raccolta ci parla di sopravvivenze, di sopravvissute, nella maggior parte dei casi, senza dimenticare chi, dalla crudeltà del mondo, non è riuscita a sottrarsi.
Attraverso i suoi versi vengono trattati temi come la bulimia, la non accettazione del corpo, la ricerca spasmodica dell’amore, di un’accettazione esterna, soprattutto, ma non solo, in età adolescenziale. Del rapporto con le madri e di quel cordone di disgrazia e benedizioni che lega le generazioni da madre in figlia.
La strana avventura dell’essere donna, il carico di sé stessi, più quello di dover vivere con gli uomini, non tutti.
“Mia madre dice che dentro ogni donna ci sono stanze chiuse.
A volte, gli uomini, arrivano con le chiavi,
e a volte, gli uomini, arrivano con i martelli.”
Paure, ma anche punti oscuri, desideri inespressi di cui non si può liberamente parlare, desideri che non riguardano gli uomini e paure da cui gli uomini restano estranei.
Eppure, per quanto questa voce sia espressione del femminile, resta universale, talmente potente e concreta che non può essere ignorata.
La poesia di Warsan Shire non può essere circoscritta, accantonata in un angolo, etichettata come poesia per le donne, perché è un grido, e le urla sono difficili da ignorare.
È un richiamo all’empatia, all’umano, alla parte sensibile di tutti noi, che viviamo in un modo dove l’importante è la superficie, purché questa sia linda e pulita come una spiaggia in estate.
Delle profondità, del tumulto, del non visibile ci si tiene sempre più spesso alla larga, fino a che non arriva qualcuno che ce lo sbatte in faccia, e ci costringe a guardare tutto quello che stavamo ignorando.
Quindi, anche se non sei una figlia, dovresti leggerlo, anche se non sei in fuga dovresti leggerlo, anche se non sei nera, dovresti leggerlo.
Se fai parte dell’umano dovresti leggerlo.