Amore mio infinito è un libro bellissimo che mi hanno prestato anni fa; quando mi era presa la fissa per i “Cannibali”, anche se questo nello specifico di cannibale non ha niente.
Nonostante siano passati anni, continuo a ritornare a questo libro come una falena alla luce.
Un piccolo testo dove sono nascoste tante verità, inafferrabili, proprio perché scontate.
Verità alla portata di tutti, e proprio per questo ignorate.
Quella più evidente su cui sono portata a riflettere è l’amore.
Ovviamente, penserete, bè, sì, anche.
Ma era proprio da questo pensiero che mesi fa partiva una mia prima seconda lettura e conseguente disamina; cominciata e mai terminata per via dell’improvvisa ed immutabile morte del mio computer.
Di Amore mio infinito mi colpì la prospettiva.
Fino ad allora mi avevano sempre fatto credere, mi avevano sempre fatto leggere, perché, almeno personalmente, mi riferisco al mondo della parola scritta.
Insomma gli scrittori mi avevano sempre raccontato l’amore in modo diverso.
Probabilmente unico, irrazionale, irripetibile, ma soprattutto insostituibile.
Se però vi prendete un attimo per pensarci, potrete intuire quanto male faccia, a livello sentimentale, continuare a proporre questo schema.
Pensateci, pensate a quante occasioni sprecate, a quanta cecità, a quanta mancanza di felicità si possa celare dietro la convinzione che l’amore sia unico e solo.
E no, non sto parlando di coppie aperte, ance se Tamara Tenenbaum crede che possa essere una soluzione da prendere in considerazione.
Ma io non sono abbastanza esperta per potermi ergere a parlarvi di coppie aperte e chiuse.
Quando parlo di un unico amore, contrapposto a molti, mi riferisco a quello che ci insegnano a definire come “il grande amore, il vero amore”.
Quello che è diverso da tutti, è superspecialissimo, che se ti va bene è per tutta la vita, e se ti va male finisce e ti spezza il cuore;
(ma prima, di questo grande amore, non ti hanno spezzato altre volte il cuore? Non ci avevi investito, sperato, creduto, costruito altre volte? Pensaci!)
Però, oltre ad avere il cuore spezzato per la fine di questo amore, il danno peggiore arriva quando, barricato nella convinzione che, perduto questo tuo grande amore, niente sarà più grande, più vero, più amore abbastanza; ma tutto tenderà ad essere paragonato a quell’unica relazione di “vero amore” e a tutte le altre verrà sottratto di importanza, sia precedenti che successive.
Ovviamente non parlo di tutti né per tutti e continuo a sottolineare come riporto il tutto all’ambiente della carta scritta perché lì è nata.
Ma quanti film ci hanno raccontato la stessa cosa?
Ci hanno raccontato di persone intrappolate nel rimpianto di un amore finito, nel sogno di un epilogo diverso e di come tutto quello che è stato successivo fosse stato un accontentarsi.
Allora non è forse questo un grande spreco d’amore?
Amore mio infinito non si pone in cattedra pretendendo di insegnarci come amare.
È solo una lente d’ingrandimento su una vita, precisamente quella di Matteo.
Un Matteo che semplicemente vive, con tutto quello che di bello e di brutto può accadere in questi casi; come lo smarrimento dei trent’anni, come dover arrivare a fine mese, come cambiare corso di laurea; ma anche come l’amore.
L’arrivo dell’amore, all’interno della narrazione, è sempre una nota positiva, porta con sé una scoperta, quello per Chiara, quando erano solo bambini al mare, la scoperta dell’esistenza delle bambine, prendersi per mano in cortile, regalare un gelato.
Quello per Silvia, quello dell’adolescenza, delle prime sbronze, del primo bacio.
Quello per Gianna, che a trent’anni ti fa scoprire il mare a novembre in Piazza Cordusio.
E la cosa bella, sorprendente, è la libertà e l’intensità con cui il protagonista vive questi ed altri amori.
Mai una volta che gli abbia sentito dire: “no”, “no, mi sto innamorando di x, si ok, ma non sarà mai come con y, perché y era il mio vero amore ed x è un palliativo”.
Mai una volta che perdesse tempo a paragonare, a soppesare le ragazze, le sue scelte in amore.
C’è una grande naturalezza, e fiducia, nel suo modo di vivere l’amore, di buttarcisi sempre, nel non negarsi niente, che fa invidia, per quanto lui sembri solo essere arricchito da tutto questo amore che riceve e che dà; mai schiacciato, mai sottratto.
Ogni amore, ogni ragazza, è stata unica, è stato Amore mio infinito.
E da quando ci ho pensato, da quando l’ho realizzato, ho percepito quanta forza c’è in Matteo, nel suo modo di amare, che invece manca nella prescrizione di vero e unico amore.
Perché Matteo sembra sempre arricchito pur nella semplicità delle sue storie e delle sue esperienze.
Vero, forse gli manca quel pathos da grande storia, ma quante grandi storie restano svuotate dopo l’amore?
È la piccola grande storia di Matteo?
Non saprei, in fondo non si era posto di insegnarci nulla.
Resta il fatto che da quando ho legato questa semplicità alla forza, da quando ho capito quanto amore gettiamo via ogni giorno, quante possibilità, per rincorrere quello vero, ideale, idealizzato, irraggiungibilmente vero, ho anche riflettuto su una frase, detta da mia madre: “quanta fragilità in questi uomini di oggi”.
Mia madre pronunciò questa frase con tristezza, e il contesto era diverso, era la reazione all’ennesimo caso di un uomo che reagisce male ad una richiesta di divorzio.
Eppure questa fragilità, questa paura estremizzata della perdita, delle cose che finiscono, non è forse il risultato di una convinzione in cui crediamo?
Ovvero che dopo aver perso quell’amore non ce ne sarà un altro, che resteremo soli e che più nulla sarà uguale?
E quanta sofferenza genera questo pensiero?
Non sarebbe meglio dire che l’amore finisce ma ritorna?
E che non ce ne è uno migliore di un altro, perché sono tutti diversi, come diverse sono le persone che amiamo e i motivi per le quali le amiamo.
Il modello del vero amore ci educa alla fragilità, ad una riduzione della percezione della felicità, in un tempo in cui non potremmo permettercelo.
Sono tante le cose che non so, e quindi non so neppure dirvi se ha ragione Tamara Tenenbaum, magari ci ha visto lungo e abbiamo bisogno di un nuovo modo di concepire i legami.
Quello che posso dirvi è che:
Prima della fine dell’estate prima che mi venisse
questo impossibile coraggio di baciarla prima di
andare di sopra a fare le valigie prima di partire
prima di leggere “Topolino” prima di diventare
grande prima di diventare comunista o democristiano
prima di finire la scuola prima di andare a letto
prima che qualcosa strapiena di si scoppiasse
pianissimo le ho detto, amore mio infinito.
Probabilmente non vi convincerò a mettere in dubbio l’ideale del grande amore, ma spero di aver stimolato la vostra curiosità verso un libro che non è proprio un’uscita recentissima.
Pubblicato nel 2000 e ambientato negli anni che vanno dall’82 al 99, la sua narrazione ha un sapore vintage, di ricordi.
Come quando cita l’uscita del film Labyrinth con David Bowie, i robot giocattoli che impazzavano tra i bambini, i primi Mc che si infiltrano tra le realtà locali, i loro menù in lire, è una lettura che riporta a galla ricordi, scene di vita quotidiana che neppure sapevo di ricordare.
A me di questo libro è piaciuto tutto, entra nei miei “chi sono in dieci libri”, entra in quei libri guida che ad ogni lettura ti spiegano qualcosa, bussole ma anche porti.
Ne apprezzo la scrittura, i voli pindarici, che poi tanto pindarici non sono, i flussi di coscienza.
Ho un libro pieno di parti sottolineate e posso solo lasciarvi con l’urgenza e l’ansia che anche voi possiate dire, a fine lettura, Amore mio infinito.