Non conoscevo Dorothy Porter, ed è stata una delle scoperte migliori degli ultimi anni. Il suo Akhenaton è un romanzo di poesie, una biografia che viene fuori dalle parole del personaggio. Il faraone butta fuori tutti i suoi sentimenti in un diario poetico a dir poco sorprendente.
Akhenaton era realmente un poeta, un artista, e Dorothy Porter ricrea le parole del primo a fondare una religione monoteista, il culto del dio Aton. Sfida le tradizioni, finisce per mettersi contro tutti, ma persegue nella sua vita pur affrontando la tristezza e il dolore di chi viene abbandonato.
In diciassette anni di regno porta un tifone di enorme peso. Ama carnalmente le figlie, il fratello minore Semenkhkara, sposta il governo da Tebe a Akhet-Aton, e molto altro. Gli antichi egizi cercarono di cancellare le tracce di questo faraone così odiato, ma con scarso successo.
E per fortuna, aggiungo, perché in tal caso avremmo dovuto rinunciare a un’opera come questa. Akhenaton è un libro travagliato, Porter inizia a scrivere le prime righe nel 1987 e la prima edizione è del 1998. È nel 2021 che Fandango porta questo romanzo singolare in Italia, traduzione di Maurizio Bartocci.
Conosciamo un sovrano provocatore e ironico, eppure così solenne nell’amore per la famiglia, profondo, appassionato. Emozionato ed emozionante. Diverse pagine approfondiscono il lato erotico della persona, e leggere questi amplessi apre lo sguardo verso i passati millenni dell’umanità. Sappiamo tutti che esistiamo perché è da sempre che le persone fanno sesso, amano, si intrecciano, ma con queste poesie realizziamo pienamente la dimensione privata tra le lenzuola della storia.
La narrazione su Nefertiti ci fa innamorare della moglie di Akhenaton in ogni poesia che tratta di lei. Una delle critiche che spesso leggiamo sul web riguardo le scrittrici, è che non riescono a parlare con la voce dei personaggi maschili. Queste persone non hanno letto Dorothy Porter. Renderebbe credibile persino i pensieri di un batterio, di uno stelo d’erba, figuriamoci qualcosa di semplice come un uomo.
Coglie tutte le difficoltà di un artista al comando (suo malgrado). Le contraddizioni, i confronti, gli scontri tra opposti sono i campi in cui la bravura della scrittrice esce prepotentemente dalle pagine. La commozione per la morte del padre è brutalmente interrotta dalla madre che blocca i sentimenti e richiama il figlio all’ordine: “Zitto! E pensa a come battere gli Ittiti!”.
La dinastia deve continuare, eppure il faraone non riesce ad avere figli maschi. C’è un solo modo, come leggiamo in Il mio dovere:
Nemmeno Kiya
mi ha dato
un maschio
che Aton preferisca le donne?
Il mio regno però
esige maschi
maschi consanguinei
se mio padre sposò
mia sorella Sitmaun
fu per i maschi
lei fu all’altezza
il mio dovere
è un amaro boccone
quale delle mie ragazze?
Non ho appetito.
Comprendo le diverse persone che hanno provato una certa difficoltà nell’andare avanti in questa lettura. È un testo forte, certi bocconi sono difficili da mandare giù. Nonostante sia lo stesso Akhenaton a provare sdegno per certe sue azioni, è quasi impossibile sospendere il giudizio. Anche qui il motivo è la bravura dell’autrice. Devo assolutamente leggere altro, e consiglio a chi è più sensibile di stringere i denti e proseguire la lettura di questo libro così denso, particolare e potente.