Aida al confine è una graphic novel di Vanna Vinci, che io posseggo nella riedizione della Bao del 2017.
Dalla postfazione all’opera sappiamo che la prima edizione di Aida al confine è stata pubblicata su una rivista a fumetti che si chiamava Mondo Naif nel settembre del 2001.
Perché vi parlo della postfazione, prima dell’opera?
Qui Vanna Vinci ci spiega come Aida al confine sia nata da un esigenza condivisa di creare una diversa forma di narrazione, che parlasse della vita quotidiana delle nuove generazioni.
“[…] si voleva raccontare la vita anche un po’ assonnata di studenti fuori sede e giovani ancora indefiniti, adolescenti un po’ cresciuti, che si aggiravano non nei grandi spazi dell’avventura classica ma in città conosciute e poco esotiche come Bologna Trieste Pordenone.”
Con Aida al confine Vanna Vinci ci è perfettamente riuscita. Riuscendo a trasmettere tutte queste esigenze, tutte queste sensazioni attraverso il testo e le tavole.
Io credo nel libro giusto al momento giusto, e questo, per me, sicuramente lo è stato. Sono stata subito attratta dalle tavole che descrivevano un’atmosfera scura, cupa, come una cappa di nebbia. La spigolosità dei personaggi, le scene di una vita quotidiana assolutamente normale.
Protagonisti: giovani universitari con ancora strascichi della loro adolescenza che si tirano su le maniche per fare gli adulti, prendersi tutta la vita, truccati come Theda Bara con creste e occhialoni tondi. Tra i Prodigy e Rino Gaetano.

Sicuramente per me è stato l’incontro con il nuovo, con il diverso, a sviluppare questo senso di attaccamento al testo. Finalmente avevo trovato qualcosa che mi parlava, che rappresenta una realtà che conoscevo o che potevo capire. Forse perché ero io il giovane fuorisede, l’adolescente un po’ cresciuto a cui si voleva e di cui si voleva parlare?
Aida al confine è un racconto di linee, di confini che si tracciano e che si superano e che si mescolano. La protagonista del racconto, Aida, si trasferisce da Bologna a Trieste, città di provenienza dei nonni materni. A Bologna lascia la sua vecchia vita, il suo vecchio look e il suo vecchio fidanzato. Tracciando un confine tra il suo prima e il suo dopo.
Trieste è una città di frontiera, un altro confine, oppure una porta. In questa città sospesa sull’atmosfera lattescente del golfo, vita e la morte si mescolano come in un limbo.
Nella vecchia casa dei nonni materni Aida non sarà poi così sola come credeva perché i fantasmi di Nino e Teresa sono ancora lì, e continuano a vivere la vita così come l’avevano sempre vissuta; uscendo per andare all’osteria e continuando le vecchie discussioni. Aida però non vede solo i nonni, ma tutti i defunti di Trieste; ed è per le strade della città che incontrerà il misterioso Lino.
Si ritorna dopo la morte se da vivi si avevano degli insoluti, ma spetta ai vivi pagarne le conseguenze.
Spetta ad Aida venire a capo dei rimpianti di suo nonno. Scavando nelle memorie familiari riuscirà a ricostruire un passato devastato dalle due guerre mondiali da cui è attraversato. Aida deve comporre un puzzle della memoria.
Ed è proprio quello che deve fare anche l’autrice, ricostruire. Vanna Vinci utilizza per Aida al confine la sua esperienza di ricostruzione, attraverso documenti ufficiali, lettere private e fotografie quella che era stata la vita di suo nonno; dell’uomo che era stato prima di diventare il nonno amatissimo che la portava a prendere il gelato al Caffè Torino a Cagliari. Una vita attraversata dalla guerra e “ammalata” dello stesso amore della nipote per la città di Trieste.
Il dolore della guerra, la distruzione e la capacità di ricostruire sono elementi fondamentali su cui si regge la storia.
Per aiutare Lino a ricordare la sua vita Aida lo porta attraverso le strade di Trieste, case abbandonate, vicoli deserti dove piano piano riaffiorano i ricordi.
Ricostruire la memoria di Lino diventerà ancora più importante per Aida quando si svelerà il legame che li unisce.
Lino è il fratello maggiore di suo nonno Nino; un uomo profondamente cambiato dall’esperienza in trincea della prima guerra mondiale e che era scomparso sullo scoppiare della seconda. Per Aida è importante riuscire a capire dov’è morto Lino e, credendolo tra gli ebrei catturati dai nazisti, lo porta alla risaia.
La scena ambientata alla risaia è di un impatto emotivo importante. In Lino non si risveglia nessun ricordo, indice del fatto che sia morto prima di quegli avvenimenti. Ma l’emozione è racchiusa nell’incredulità di lui nell’ascoltare, nell’accettare che gli eventi narrati da una ragazzina fossero veramente accaduti, sotto gli occhi inermi di tutti.
Tutta la crudeltà dei nazisti è rappresentata in queste tavole dove, nel mezzo della risaia buia e vuota, la voce di Aida narra gli eventi mentre scorrono le immagini dei soldati che abbandonano il luogo scappando sotto i bombardamenti attraverso i sotterranei, la Kleine Berlin, facendo saltare in aria il forno crematorio per tentare di nascondere le atrocità commesse.
Aida è un filo che ricuce gli strappi che le guerre hanno causato all’interno della sua famiglia e grazie a questo ricuce un po’ anche se stessa.
Aida al confine è una graphic novel densa di elementi. Dietro il volto di ragazza di Aida, che vediamo in copertina, c’è quello di Lino, e le guerre che suo malgrado rappresenta. E ancora dietro di loro, c’è il castello di Miramare. C’è Trieste, che se voleva essere meta poco esotica per l’ambientazione della storia è diventata luogo quasi esoterico, etereo, avvolto nella nebbia, posto sulla soglia dell’Europa.
Trieste è un luogo magico, raccontato con il grande amore che l’autrice prova nei confronti di questa città. È una città dell’anima. Aida al confine è diventata per me la mappa della città di Trieste, quel viaggio nel cassetto che non ho mai fatto. “Ammalata” anche io di questo amore per una città che non ho mai neanche visitato.
Aida al confine è una graphic novel che nasce dall’amore, dalla ricostruzione di un puzzle familiare. La cura per ogni dettaglio cittadino, le numerose canzoni che accompagnano i protagonisti, i testi citati lo rendono una perfetta mappa emozionale e storica, un filo che da lontano porta fino a noi.
Siamo il frutto diretto del passato, e come in Edipo, forse le colpe dei padri ricadono sui figli, ma non è detto che non sia possibile per noi risolverle.